L'art. 3, comma secondo, primo
periodo del D.Lgs. “tutele crescenti” approvato il 20.2.2015 dispone che “esclusivamente nelle ipotesi di
licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui sia
direttamente dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale
contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione
circa la sproporzione del licenziamento, il giudice annulla il licenziamento e
condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di
lavoro [omissis]”.
Letto assieme al comma
precedente, la norma esemplifica il principio cui si è ispirato il nostro
legislatore nella nuova disciplina del licenziamento: si procede sempre all’indennizzo
e mai alla reintegra nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo (eccezione
fatta per i casi discriminatori, nulli o di intimazione orale).
Unica eccezione alla regola che
la reintegra non trova mai applicazione, è rappresentata dalla norma trascritta:
solo in caso di inesistenza provata del fatto materiale si procede alla
reintegra nel posto di lavoro.
Pertanto, l’onere probatorio
(diabolico: si provi a dare dimostrazione diretta che qualcosa non è avvenuto)
dell’inesistenza del fatto grava sul lavoratore che vuol essere reintegrato:
nell’applicazione concreta significa che nell’ordinamento italiano è
definitivamente entrato il principio di libertà di licenziamento del lavoratore
(eccezione fatta, lo si ripete, per i casi discriminatori, di espressa nullità
o di intimazione orale), salvo il pagamento di un'indennità - non assoggettata
a contribuzione previdenziale – che va da un minimo di 4 a un massimo di 24
mensilità.
La normativa in esame in ogni caso si applica ai soli lavoratori assunti a tempo indeterminato dopo la sua entrata in vigore.
La normativa in esame in ogni caso si applica ai soli lavoratori assunti a tempo indeterminato dopo la sua entrata in vigore.
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